Il capolavoro è custodito gelosamente nella chiesa Maria Ss Addolorata di Soverato Superiore
Il 2021 è un anno speciale per Soverato e per la Calabria tutta in quanto si festeggia il V centenario dell’opera scultorea della “Pietà”, 1521-2021, di Antonello Gagini, commissionata nel settembre del 1520. Per via delle pandemia le celebrazioni slitteranno, ma sarà sicuramente l’occasione per conoscere e divulgare l’importante opera. Il pubblico curioso si appassionerà ad una pagina cinquecentenaria di arte calabrese. Il capolavoro marmoreo è custodito gelosamente nella navata destra della chiesa Arcipretale “Maria Ss Addolorata” di Soverato Superiore e in particolare il suo custode è mons. Giorgio Pascolo, storico parroco della comunità. In realtà il gruppo marmoreo proviene dall’antico convento agostiniano di Santa Maria della Pietà, oggi nel territorio di Petrizzi (CZ), fondato nel 1510 dal Beato Francesco Marino da Zumpano. Il “trasloco” dell’opera è stato tramandato con leggende popolari. Si racconta, infatti, che dopo la costruzione della chiesa di Soverato Superiore negli anni ottanta del Settecento, un gruppo di cittadini si recò presso il convento danneggiato dal terremoto del 1783, per trasportare l’opera del Gagini con un carro appositamente fatto preparare. Ma l’opposizione degli abitanti di Petrizzi spinse alla risoluzione di porre la statua sul carro e di lasciare ai buoi la decisione in merito alla sua destinazione definitiva, che ovviamente fu Soverato. La verità è assolutamente meno pittoresca, in quanto lo spostamento della statua dal convento all’attuale sito fu determinato da un litigio ( da buoni calabresi), sorto nel 1787, tra gli abitanti di Soverato e quelli di Argusto (CZ) in merito al possesso della campana del soppresso convento agostiniano. La controversia portò alla rivendicazione, nel 1801, da parte delle due popolazioni, dell’intero convento che per uno scherzo del destino fu poi annesso al comune di Petrizzi. In questo momento di screzi e di confusione, il gruppo marmoreo giunse, non si sa come, nella chiesa di Soverato Superiore. L’opera si contrappose al gruppo marmoreo di Michelangelo, a cui si rifaceva, per la posizione intera del Cristo e per la mano materna che, aderendo al costato, sostiene il figlio. Ancora una volta l’influenza di Benedetto da Maiano è evidente nella rappresentazione della Vergine, raffigurata in questo caso nelle sembianze di una madre avanti negli anni con lineamenti popolani. Antonello Gagini, pur servendosi del suo bagaglio culturale, andò oltre le aspettative nell’esecuzione della figura della Vergine, maestosa e soave allo stesso tempo. Lo scultore coprendola con un ampio mantello modellato con grande maestria, con un vestito lungo fino ai piedi e con un soggolo di tela che le fascia il collo e la testa, seppe infonderle il senso di castità e di candore della Madre di Dio. Essa, inoltre, è carica di pathos nello sguardo, in cui si condensano, allo stesso tempo, dolore e compostezza. I tratti somatici, eseguiti con tocco sicuro e sapiente, consentono di ottenere quella caratterizzazione psicologica che mette in risalto le connotazioni umane e, allo stesso tempo, divine dell’immagine sacra. Nella figura del Cristo morto, significativo è il rilassamento dei muscoli e il realismo plastico nell’abbandono delle membra; il corpo del Figlio, trattato secondo i canoni classici con vigoroso plasticismo e con un modellato fluido e morbido nelle braccia e nelle gambe, ostenta una levità sorprendente tale da farlo apparire privo di peso, come fosse un’entità celeste e sovrannaturale, contribuendo notevolmente nell’infondere all’intero blocco marmoreo un’incredibile sensazione di calma e di compostezza. Si riscontrano pregevoli tracce di decorazione pittorica, ad esempio sul mantello della Vergine ai bordi del quale è abbastanza evidente una fascia con piccoli disegni di acanti ed altri elementi floreali. Il restauro eseguito nel 1968 presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze l’ha riportata bianca, a distanza di secoli e quasi sicuramente in via del tutto involontaria, ha fatto giustizia a Giovan Martino d’Aquino che, nell’atto del 1520, aveva esplicitamente richiesto che la statua fosse completamente “in blanco”. Il restauro dell’opera, danneggiata dal solito terremoto del 1783, ha comportato importanti integrazioni eseguite su richiesta del comune di Soverato in quanto, come oggetto devozionale, la Pietà doveva essere presentata ai fedeli nella sua integrità. I pezzi furono costruiti con marmi di differente coloritura, per distinguerli dalle parti originali. Per quanto riguarda lo scannello, il committente Giovan Martino d’Aquino, impose la raffigurazione di San Michele Arcangelo a destra, di San Giovanni Battista a sinistra, di San Tommaso d’Aquino al centro e di Averroè ai piedi del Dottore della Chiesa. Il significato simbolico della Pietà è tutto incentrato nello scannello: San Tommaso e gli agostiniani, nella battaglia contro l’averroismo, vollero chiarire l’immortalità dell’anima. Emoziona vedere il corpo esanime del Cristo steso sulle ginocchia di Maria, sorprende pensare che tutto questo è creato dal marmo grezzo, che si può scorgere affacciandosi dietro l’opera. Sino adesso solo un testo è dedicato interamente alla Pietà di Soverato ed è stato curato dallo storico dell’arte Domenico Pisani, ma in verità c’è tanto da scrivere e da svelare. La Pietà de Gagini può essere, infatti, definita un capolavoro paradigmatico. La Pietà rappresenta l’immortalità dell’anima, il simbolo del cristianesimo, una sintesi armoniosa di arte e di fede.